martedì 5 febbraio 2008

LA MATERIA OSCURA

LA MATERIA OSCURA E LA MASSA MANCANTE




1. MATERIA INVISIBILE

Non tutto ciò che esiste è visibile.

Come tutti sanno, un oggetto perché sia visibile deve emettere delle particolari radiazioni, che vengono dette “onde elettromagnetiche”. Gli scienziati sono convinti che nell'Universo esista qualche cosa che non emette onde elettromagnetiche quindi né luce, né radiazioni di altro tipo, come ad esempio onde radio, raggi X o gamma che, se non con gli occhi, potrebbero essere tuttavia captate con strumenti adeguati: nell’Universo esisterebbe pertanto qualche cosa di assolutamente invisibile, che per tale motivo viene chiamato "materia oscura".

Ma se questa materia non è visibile in alcun modo, né con gli occhi, né facendo uso degli opportuni strumenti di rilevazione, come facciamo a sapere che esiste? Risponderemo alla domanda ripercorrendo la storia della sua scoperta.

Il primo a cui venne il dubbio che nel cosmo potesse esserci della materia non visibile fu l'astronomo americano Fritz Zwicky il quale, nel 1933, studiando i moti relativi delle galassie che formano il cosiddetto ammasso della Chioma di Berenice, notò che queste si muovevano molto in fretta.

L'ammasso della Chioma di Berenice è un gruppo di galassie situato in una zona compresa fra i duecento e i quattrocento milioni di anni luce dalla Terra, il quale dà l'impressione di essere ben compatto. Zwicky però quando andò a misurare la massa totale del sistema, sommando il materiale galattico visibile, si accorse che questo era troppo scarso per creare la forza di gravità necessaria a impedire al gruppo di disperdersi nello spazio, in seguito alle notevoli velocità con cui si muovevano le galassie al suo interno. Se l'ammasso fosse stato effettivamente instabile, esso si sarebbe dovuto disgregare già da tempo; se ciò non era avvenuto, voleva dire che esisteva della materia aggiuntiva, oltre a quella visibile, che lo teneva insieme.

In altre parole, Zwicky calcolò che la materia contenuta nel gruppo di galassie osservate, doveva essere almeno 20 volte maggiore di quella corrispondente alle stelle e ai gas visibili, altrimenti le galassie non avrebbero potuto restare unite perché la velocità che le animava era tale che avrebbe dovuto disperderle nello spazio.

Zwicky era una persona geniale ma un po' stravagante e le sue intuizioni non venivano mai prese troppo sul serio. Anche in questa occasione la sua conclusione che potesse esistere tra le galassie della materia non visibile non venne tenuta nella giusta considerazione, ma studi successivi, condotti su altri ammassi di galassie, hanno rivelato caratteristiche analoghe a quelle riscontrate da Zwicky nella Chioma di Berenice.

Più di recente si sono andati moltiplicando gli indizi in favore dell'esistenza della materia oscura la quale, oltre che negli ammassi, sarebbe presente anche nelle singole galassie. Negli anni Settanta, l'astrofisico americano Jim Peebles della Princeton University scoprì che la maggior parte delle galassie sembrava possedere un gigantesco alone invisibile esteso a così grande distanza nello spazio da fondersi con quegli analoghi delle galassie vicine.

Negli stessi anni in cui Jim Peebles compiva le sue ricerche il fisico David Schramm, dell'Università di Chicago, riuscì a fornire la prova che anche nella nostra galassia doveva esserci molta più materia di quella che si riusciva a vedere direttamente. Egli misurò la massa della Via Lattea sommando la quantità totale di luce emessa e quindi valutò gli effetti gravitazionali che questa materia avrebbe dovuto esercitare sulla vicina galassia di Andromeda. La conclusione fu che la nostra galassia dovrebbe avere una massa dieci volte maggiore di quella accertabile visivamente.

Infine, Vera Rubin del Carnegie Institution di Washington, un'astronoma che ha dedicato gran parte della sua carriera di ricercatrice più che trentennale allo studio del moto di rotazione delle galassie, misurò la velocità delle stelle e dei gas più esterni di alcune di esse, fra cui Andromeda, notando delle anomalie.

Si sapeva che le galassie girano intorno ad un'asse che attraversa il loro centro, dove è concentrato il maggior numero di stelle, allo stesso modo in cui i pianeti girano intorno al Sole, cioè più velocemente quelli vicini all’astro centrale, più lentamente quelli lontani. La scienziata americana notò invece che le stelle più esterne delle galassie osservate ruotavano all'incirca alla stessa velocità di quelle più interne, anzi, a volte questa velocità era anche leggermente superiore.

Il fenomeno non poteva essere spiegato in altro modo se non ammettendo che la massa delle stelle visibili nel centro non era tutto ciò che effettivamente esisteva nella galassia: di conseguenza, doveva esserci della materia che non si riusciva a vedere, ma che produceva i suoi bravi effetti gravitazionali.

Un insieme di osservazioni faceva quindi ritenere che nell'Universo dovesse esserci materia in quantità maggiore di quella che si riusciva a vedere attraverso gli strumenti di osservazione, e ad essa, come abbiamo già detto, fu dato il nome di "materia oscura" (in inglese Dark Matter). Essa avrebbe dovuto essere presente sia alla periferia delle singole galassie, sia intorno alle galassie aggregate in ammassi e poteva essere rivelata solo registrando la forza di gravità che essa stessa generava.

Si è calcolato inoltre che la materia oscura non è poca cosa in quanto dovrebbe rappresentare almeno 10 volte di più di quello che si riesce a vedere attraverso la luce e le altre radiazioni elettromagnetiche che la materia ordinaria invia agli strumenti di rilevazione. In altre parole, almeno il 90% della massa delle galassie non emetterebbe alcuna forma di luce visibile né radiazioni elettromagnetiche di altro tipo captabili con strumenti adatti. Di che tipo di materia potrebbe trattarsi?



2. I CANDIDATI PER LA MATERIA OSCURA

La risposta più semplice sarebbe quella di immaginare che all'interno (e all'esterno) delle galassie vi sia materia ordinaria, cioè materia del tipo di quella che già conosciamo, ma che emette radiazioni molto deboli e quindi è invisibile a grande distanza. Questa materia non visibile, ma pesante, potrebbe essere costituita, ad esempio, da pianeti, satelliti, asteroidi e meteoriti, cioè da materia del tipo di quella che gravita intorno al nostro Sole.

Che vi possano essere, sparsi nell'Universo, altri sistemi solari simili al nostro, è un'idea che per secoli è stata accarezzata dagli astronomi e che in questi ultimi tempi si è ancor più rafforzata in seguito alla scoperta di movimenti anomali di alcune stelle che potrebbero essere causati da piccoli corpi orbitanti intorno ad esse. Eventuali pianeti e satelliti di altri Soli non sarebbero visibili nemmeno usando gli strumenti più potenti di cui disponiamo, ma comunque la materia che cerchiamo non può essere di questo tipo.

I pianeti, i satelliti, gli asteroidi, le meteore e la polvere cosmica, ossia tutto ciò che ruota intorno al nostro Sole, rappresenta ben poca cosa rispetto alla massa dell'astro centrale. Tutto il materiale che gravita intorno al nostro Sole costituisce infatti appena lo 0,1% della massa totale, l'altro 99,9% risiede nel Sole stesso. Quindi, anche se intorno ad altre stelle vi fossero pianeti, satelliti e altri corpi non visibili a grande distanza, questa materia rappresenterebbe una percentuale talmente irrisoria della massa totale da poter essere tranquillamente trascurata. La materia oscura non va quindi cercata intorno alle stelle.

Si è pensato allora che il cielo potesse essere pieno di "nane brune", ossia di stelle cento volte più piccole del nostro Sole, e quindi più simili a grossi pianeti come Giove che a stelle vere e proprie. Queste tipo di stelle effettivamente esiste e alcune di esse sono state anche individuate: si tratta di corpi celesti la cui massa, molto ridotta, non è sufficiente a creare le condizioni adatte all'innesco delle reazioni nucleari che le renderebbero splendenti come le altre stelle. Se fossero in gran numero, queste stelle potrebbero fare al caso nostro e rappresentare la massa mancante ma, come vedremo meglio, nemmeno questa sembra essere la soluzione giusta.

Si è pensato anche a pesantissimi buchi neri costituiti da masse corrispondenti a miliardi di stelle concentrate in pochissimo spazio, o a gas di vastissime estensioni che avvolgerebbero le galassie, oppure a solidi di idrogeno ed elio (le cosiddette "palle di neve") o ancora a grossi pianeti fatti esclusivamente di metalli. Tutte queste ipotesi non risolvono il problema della massa mancante: vediamo di spiegarne il perché.

La cosmologia insegna che la materia ordinaria, ossia quella formata di protoni, neutroni ed elettroni, non può esistere in quantità superiore ad un certo limite. Questo limite è imposto da ciò che sappiamo sulla formazione degli atomi nei primi minuti della vita dell'Universo. La teoria del Big Bang suggerisce infatti che in un breve lasso di tempo, quando l'Universo aveva un'età di circa tre minuti, avvenne il fenomeno della nucleosintesi, cioè l'unione di protoni e neutroni dalla quale si formarono i nuclei degli atomi più leggeri.

Questo fenomeno di fusione di particelle subatomiche non avrebbe potuto realizzarsi prima di quel tempo, né avrebbe potuto proseguire in tempi successivi perché solo in quel brevissimo lasso di tempo si realizzarono le condizioni adatte. Prima di quel tempo, la temperatura era troppo elevata perché si potessero unire stabilmente protoni e neutroni e dopo quel tempo, a causa dell'espansione in atto, la densità si ridusse in misura tale che le collisioni fra nuclei i quali si erano già costituiti non potevano avvenire con energia sufficiente per causarne la rottura nei costituenti primitivi. Quindi il periodo ottimale in cui le collisioni fra protoni e neutroni furono tali da consentire la formazione di un numero considerevole di nuclei resi stabili dalle condizioni di temperatura che impedirono la scissione dei nuclei già formati, fu un periodo breve stimato dai fisici intorno ai tre minuti dall'inizio del Big Bang.

Oggi è possibile riprodurre in laboratorio le condizioni che portarono alla nucleosintesi e quindi valutare le probabilità che le collisioni possano formare un certo nucleo. In questo modo siamo venuti a conoscenza ad esempio di quanto elio deve essersi formato nell'Universo primitivo e sappiamo pure quanto se ne è formato successivamente all'interno delle stelle. Ebbene, l'osservazione dell'elio attualmente presente nell'Universo è esattamente quella prevista; se nell'Universo vi fosse solo il 2 o 3 per cento di elio in più di quello previsto (e osservato), la teoria del Big Bang perderebbe validità.

La verifica può essere ripetuta anche su altri elementi come il deuterio, il litio o l'elio-3. Tutto concorda con le osservazioni e la teoria del Big Bang viene puntualmente confermata. Per quanto riguarda il deuterio, in particolare, sappiamo per certo che questo isotopo dell'idrogeno si è potuto formare solo nei primi tre minuti di vita dell'Universo, perché successivamente, in nessun luogo, si sono più create le condizioni idonee per una sua formazione. Siamo quindi certi che tutto il deuterio esistente, compreso quello che forma l'acqua pesante sul nostro pianeta, è stato prodotto quando l'Universo stava nascendo.

In verità, il fatto che nell’Universo vi siano idrogeno, elio e deuterio nella quantità prevista dalla teoria del Big Bang rappresenta una prova a favore della teoria, ma non la prova che nell’Universo non possa esserci altra materia ordinaria oltre a quella visibile. Se all’inizio dei tempi vi fossero stati a disposizione più neutroni e protoni di quelli indispensabili alla creazione dei nuclei degli atomi osservati, la produzione di materia sarebbe stata maggiore e allora, ciò che non si vede, potrebbe essere benissimo materia ordinaria sotto forma di stelle, pianeti e buchi neri e così via. Vi è però una serie di osservazioni che depone contro questa ipotesi, a cominciare dalla uniformità della radiazione di fondo a 3 K sulla quale non possiamo soffermarci. Ma anche i corpi stessi, formati da questo materiale (gas, palle di neve, piccole stelle, buchi neri, ecc.), se esistessero dovrebbero in qualche maniera dare un segnale della loro presenza, e questi segnali non ci sono.

Scartata quindi l'idea che la materia oscura possa essere costituita da materia ordinaria, si è passati ad analizzare il mondo subatomico per vedere se da quelle parti poteva esserci qualche corpuscolo adatto a rappresentare la materia oscura. Si è pervenuti quindi al convincimento che i neutrini potrebbero rappresentare un candidato possibile al ruolo di materia oscura.

Il neutrino è una particella di piccolissime dimensioni e priva di carica elettrica la quale si forma durante le reazioni nucleari e la cui esistenza fu postulata prima della sua effettiva osservazione. L'esistenza dei neutrini fu prevista teoricamente nel 1931, ma quei corpuscoli sono stati osservati materialmente per la prima volta nel 1956, all'interno dei reattori nucleari dove vengono prodotti in grande quantità.

Oggi non è difficile osservare i neutrini, ma è difficilissimo misurare la loro massa. Invece determinare la massa del neutrino è di fondamentale importanza perché questa, anche se fosse minima, consentirebbe di considerare quel piccolo corpuscolo come il rappresentante della materia oscura che stiamo cercando.

Nei primi attimi del Big Bang avvennero molte reazioni nucleari e molte di queste reazioni generarono neutrini. Si calcola che per ogni particella dotata di massa (protone o neutrone che sia) si formarono 100 milioni di neutrini. Pertanto, anche se ogni singolo neutrino possedesse una massa infinitesimale (alcuni calcoli portano ad un valore pari a 1/10.000 della massa dell'elettrone), tutti insieme i neutrini rappresenterebbero la massa sufficiente per giustificare la materia oscura.

A tutt’oggi gli scienziati sono ancora dubbiosi del fatto che il neutrino abbia effettivamente una massa perché gli esperimenti condotti portano a risultati contraddittori. Essi invece sono indotti a ritenere che, anche se i neutrini avessero una massa, questa dovrebbe essere irrilevante e quindi non più interessante dal nostro punto di vista.



3. I CANDIDATI ESOTICI

Oggi si è propensi a pensare che i neutrini potrebbero, tutt'al più, rappresentare solo una frazione di tutta la materia oscura. E' necessario quindi cercare il resto da altre parti. Esisterebbero in verità anche altri candidati al ruolo di materia oscura. Si tratta di particelle che hanno nomi strani come fotino, assione, anti-quark, superstringa e monopolo magnetico. Queste particelle esotiche non sono mai state viste e forse neppure verranno mai viste in futuro, ma sono ipotizzate da alcune teorie sulla costituzione intima della materia e sulla unificazione delle forze.

Alcune delle particelle che abbiamo nominato sopra, derivano da una teoria moderna indicata comunemente con la sigla TOE (Theory of Everyting = Teoria del tutto) la quale suggerisce che all'inizio dei tempi tutte le particelle elementari costituenti la materia fossero unite in un'unica particella.

Come è noto, la meccanica quantistica divide le particelle elementari in due famiglie: i fermioni e i bosoni. Le prime, che prendono il nome da Enrico Fermi, sono i quark (i costituenti fondamentali di protoni e neutroni) e gli elettroni, cioè in pratica quelle particelle che stanno alla base della materia solida. I bosoni, che prendono il nome dal fisico indiano Satyendra Bose, non fanno invece parte della struttura solida della materia ma volteggiano fra le particelle materiali, creando le forze che le tengono insieme (o talvolta le dividono). Il bosone più famigliare è il fotone, il portatore di luce, il quale, quando viene scambiato fra due particelle cariche di elettricità, per esempio fra l’elettrone e il nucleo atomico, genera la forza elettrica che unisce i due costituenti fondamentali dell’atomo. Così analoghe particelle chiamate gluoni, tengono uniti i costituenti del nucleo.

Fermioni e bosoni sono molto diversi fra loro: per esempio, i fermioni sono individualisti nel senso che non possono associarsi, mentre possono farlo i bosoni, che mostrano un comportamento ondulatorio sia a livello microscopico sia a livello macroscopico. Invece le onde di materia associate agli elettroni (che come abbiamo visto sono fermioni), non si manifestano come onde su scala macroscopica.

Ora, nonostante vi sia una specie di muro divisorio invalicabile fra i due tipi di particelle, se si volesse costruire una teoria unificata coerente bisognerebbe immaginare che i fermioni possano trasformarsi in bosoni e viceversa. Ebbene, lo sforzo della fisica teorica di questi ultimi anni è stato proprio quello di riunire in un quadro unitario tutte queste particelle. Alcuni passi verso l’unificazione sono stati già compiuti, ma per avere una visione d’insieme generale è indispensabile sperimentare con energie molto elevate che le tecnologie attualmente disponibili non sono in grado di realizzare. Tali energie si sono però prodotte nei primissimi istanti di vita dell’Universo e possono aver lasciato segni tuttora presenti nel Cosmo. Si tratta quindi di individuarli per dare credito alla teoria e in tal modo risolvere anche il mistero della materia oscura.



4. ALTRA MATERIA

Ma per quanto riguarda la materia oscura le sorprese non finiscono qui: forse esiste ancora più materia di quella che le osservazioni (comprese quelle relative alla materia oscura) mettono in evidenza. Come ci si è formati questo convincimento?

Oggi sappiamo che l'Universo si sta espandendo, ma continuerà ad espandersi per sempre o un giorno inizierà a contrarsi? Dipende, ovviamente, dalla quantità complessiva di materia che vi è contenuta: se questa è abbondante fermerà l'espansione, se invece è scarsa non riuscirà ad opporsi all'espansione, che quindi durerà per sempre.

Per chiarire il concetto ricorriamo ad un esempio famigliare. Che cosa succede quando si lancia in alto un sasso? Questo prima sale velocemente, poi rallenta, e infine, richiamato dalla gravità terrestre, torna indietro. Se però si riuscisse ad imprimere al sasso una notevole velocità iniziale, esso, pur rallentando la corsa, finirebbe tuttavia per sfuggire definitivamente alla forza di richiamo prodotta dalla gravità terrestre. La velocità iniziale che porta gli oggetti in orbita, detta velocità di fuga, è di 11,2 kilometri al secondo e va diminuendo a mano a mano che un oggetto si allontana dalla Terra, ma anche la forza gravitazionale che lo richiama verso il basso si indebolisce di pari passo, fino al punto di non essere più in grado di riportarlo indietro.

Il destino del nostro Universo, come quello del sasso lanciato in aria, dipende dalla violenza con cui ha avuto inizio l'espansione. Ma mentre nel caso del sasso lanciato in aria conosciamo la massa della Terra e possiamo quindi calcolarne la velocità di fuga, nel caso della fuga delle galassie conosciamo la velocità con cui si allontanano, ma non conosciamo la massa della materia che le frena.

Tuttavia, anche senza queste conoscenze, possiamo lo stesso determinare quale sarà l'evoluzione dell'Universo confrontando il suo ritmo attuale di espansione con la densità media della materia che vi è contenuta. Se la densità attuale della materia presente nell'Universo è superiore ad un certo valore critico, la gravità finirà per prevalere sul ritmo di espansione il quale rallenterà sempre più fino al punto in cui l'Universo comincerà a collassare come la pietra che, raggiunta la massima altezza, inverte il suo moto e ricade a terra. In questo caso si dice che l'Universo è “chiuso”.

Se la densità attuale della materia presente nell'Universo è inferiore al valore critico l'Universo si espanderà per sempre e quindi continuerà ad esistere in eterno: in questo caso si dice che l'Universo è “aperto”.

La densità critica dell'Universo è la densità minima necessaria per arrestare l'espansione e dipende dall’attuale velocità di fuga delle galassie. Questo ritmo di espansione è stato determinato e risulta tale che l'Universo dovrebbe raddoppiare le sue dimensioni ogni 10 miliardi di anni circa. Questa velocità di espansione comporta che la materia in esso contenuta presenti una densità di circa 10-29 grammi per centimetro cubo.

Il rapporto della effettiva densità della materia all'interno dell'Universo attuale e la densità critica viene indicato con la lettera greca Ω (omega). Ora, riformulando le sorti possibili dell'Universo in termini di Ω, possiamo dire che l'Universo è aperto se Ω è minore di 1, l'Universo è chiuso se Ω è maggiore di 1 e infine è piatto, cioè destinato ad espandersi per sempre ma a ritmo sempre minore, se Ω è proprio uguale ad 1.

Ebbene, in base alle misurazioni più accurate, la densità effettiva dell'Universo attuale è di circa 10-30 grammi per centimetro cubo, ossia un decimo del valore critico. Omega, in questo caso, varrebbe quindi 0,1. Se sono esatte queste misure il nostro Universo dovrebbe pertanto essere aperto.

Se si tenesse conto esclusivamente della materia visibile la densità dell'Universo sarebbe di circa 10-31 grammi per centimetro cubo; prendendo in considerazione anche la materia oscura, cioè quella che viene determinata tenendo conto della forza di gravità, la densità, come abbiamo appena detto, sarebbe di circa 10-30 grammi su centimetro cubo.

La questione tuttavia non si esaurisce qui perché vi è un modello di Universo il quale prevede che la materia contenuta in esso debba essere ancora maggiore. Prima di parlarne dobbiamo chiarire che la quantità di materia contenuta nell'Universo non può essere superiore ad un certo limite. Se infatti la materia fosse molto abbondante, questa avrebbe già frenato da lungo tempo l'espansione e l'Universo si sarebbe chiuso prima di dar modo alla nostra Terra di sviluppare la vita. Si calcola che se Ω fosse stata di poco maggiore di 2 l'età dell'Universo sarebbe stata inferiore all'età della Terra, pertanto noi non saremmo qui. Per concludere possiamo quindi dire che il valore di Ω dovrebbe essere quasi sicuramente compreso fra 0,1 e 2.

Gli astronomi tuttavia sono molto interessati a sapere se omega è effettivamente uguale ad 1. Esiste, come dicevamo prima, un modello di Universo, detto "Universo inflazionario" il quale prevede che omega sia esattamente uno. Qualora si riuscisse a valutare il valore di omega con precisione si potrebbe decidere se il modello dell'Universo inflazionario, il quale fra l'altro spiega molte proprietà dell'Universo che un tempo dovevano essere accettate senza una spiegazione plausibile, è vero o falso.

La massa ancora da scoprire per rendere verosimile il modello di Universo inflazionario si chiama “massa mancante".

Riassumendo, la materia luminosa che possiamo osservare con gli apparecchi a disposizione fornisce una quantità di materia sufficiente a dare di omega il valore di circa 0,01; la "materia oscura" cioè la materia che siamo riusciti a rilevare attraverso i suoi effetti gravitazionali, spiega un altro fattore 10 della massa, il quale incrementa il valore di omega a 0,1. Infine i fautori del modello di Universo inflazionario, che richiede un omega uguale a 1, per giustificare la loro ipotesi, sono impegnati ad individuare fra le stelle una quantità di materia ancora 10 volte maggiore.
LA MATERIA OSCURA FORSE NON ESISTE




1. QUANTA MATERIA NELL’UNIVERSO?

La materia oscura è uno dei misteri più fitti che da alcuni decenni tormenta gli astronomi di tutto il mondo. Esiste veramente? E, se esiste, da cosa è costituita? L’idea che nell’Universo debba esserci della materia non visibile nasce nei primi anni Trenta del secolo scorso, quando l’astronomo statunitense di origine svizzera, Fritz Zwicky, notò che le galassie che formano il cosiddetto ammasso della Chioma di Berenice si muovevano troppo in fretta per non disperdersi nello spazio. Risulta infatti che le galassie facenti parte di un ammasso, così come le stelle facenti parte di una galassia, possono muoversi, ma non tanto da svincolarsi dalla forza gravitazionale la quale le trattiene all’interno della struttura.

Le leggi della fisica sono in grado di stabilire quanta materia debba contenere un sistema per bilanciare i movimenti degli elementi che lo compongono al fine di impedire la loro dispersione. Ebbene, Zwicky calcolò che il materiale visibile nell’ammasso che stava studiando era almeno 20 volte inferiore a quello che avrebbe dovuto essere per tenere il gruppo compatto.

Successivamente fu osservato un ammanco di materia un po’ in tutte le grandi strutture che compongono il Cosmo: galassie, ammassi e superammassi di galassie. Ciò convinse gli astronomi che nell’Universo, nel suo complesso, dovesse esserci della materia non visibile ma non si riuscì mai a capire di che tipo di materia potesse trattarsi. La soluzione più semplice era quella di ritenere che ciò che non si vedeva fosse materia comune semplicemente poco luminosa perché la si potesse osservare con gli strumenti a disposizione, quindi avrebbe potuto trattarsi, ad esempio, di pianeti, stelle nane, gas freddi, buchi neri e così via. Questi oggetti celesti potrebbero effettivamente esistere ma non nella misura richiesta: si è calcolato, utilizzando il modello cosmologico standard e alcune osservazioni di dettaglio relative alla radiazione di fondo a 3K, che la materia ordinaria non visibile potrebbe essere anche dieci volte superiore a quella visibile ma tuttavia non ancora sufficiente per rappresentare la massa mancante. Al resto è stato dato il nome di “materia oscura” sia per la natura ignota, sia per la difficoltà che si incontrava nella sua individuazione. Essa avrebbe potuto sussistere sotto forma di strutture subatomiche come quark e neutrini, o di particelle esotiche, le cosiddette WIMPs (Weakly Interacting Massive Particles), enti ad interazione debole previsti dalla teoria, peraltro mai individuati dai fisici nella realtà.

A peggiorare le cose di recente è stato avanzato il sospetto che nell’Universo vi possa essere qualcos’altro oltre alla materia ordinaria (luminosa e non) e a quella oscura, a cui è stato assegnato il nome provvisorio di “energia oscura” per gli effetti che sembra produrre sulla massa complessiva dell’Universo. Il dubbio scaturisce dai dati raccolti dalla cosiddetta missione BOOMERanG, acronimo di Balloon Observations Of Millimetric Extragalactic Radiation and Geophysics. Si tratta di una rappresentazione dello sfondo cosmico che mostra la distribuzione della materia dell’Universo primordiale al momento della sua formazione, poco dopo il Big Bang. Per ottenere questa immagine gli scienziati di vari paesi impegnati nella ricerca si sono serviti di un telescopio sensibile alle microonde, sistemato su di un pallone sonda in volo a 40 kilometri di quota nei cieli dell’Antartide. Il risultato del loro lavoro suggerisce che nell’Universo dovrebbe esserci materia in quantità tale da rendere lo spazio piatto. Vediamo di cosa si tratta.

L’espansione cosmica susseguente al Big Bang è sempre decelerata a causa della attrazione gravitazionale fra gli oggetti massicci che compongono l’Universo ma l’entità del rallentamento dipende dalla quantità di materia in esso contenuta. Se la materia fosse molto abbondante essa frenerebbe più o meno rapidamente la spinta espansiva fino a costringere il Cosmo a contrarsi, mentre se fosse molto scarsa, il Cosmo stesso sarebbe destinato ad un’espansione indefinita. Ebbene, i dati disponibili indicano che la materia presente non è né troppa né troppo poca ma che la sua quantità è adeguata tanto da lasciare prevedere un rallentamento lento e graduale dell’espansione fino a ridursi a zero. Per analogia, nel primo caso possiamo pensare ad un razzo che dopo essere salito in cielo torni indietro attratto dalla gravità terrestre, nel secondo caso ad un razzo molto veloce che, insensibile al richiamo gravitativo, si allontani indefinitamente dalla Terra e nel terzo caso ad un razzo che, raggiunta una certa altezza, si fermi.

Ora, se lo spazio appare piatto ciò vuole dire che nell’Universo è contenuta una precisa quantità di materia di cui quella comune, formata da atomi costituiti da protoni, neutroni ed elettroni è solo una minima parte, mentre l’insieme della materia oscura e dell’energia oscura dovrebbe rappresentare addirittura il 96% del totale.

Ricapitolando, nell’Universo la materia visibile composta dai normali elementi chimici è appena lo 0,5% del totale; un altro 3,5% sarebbe dato da materia dello stesso tipo ma non luminosa; a ciò si deve aggiungere un 26% di materia oscura esotica e un altro 70% della cosiddetta energia oscura. Prima di procedere cerchiamo di capire meglio cosa sia l’energia oscura.



2. ENERGIA OSCURA

Negli ultimi anni del secolo scorso una serie di osservazioni eseguite con strumenti molto sensibili ha convinto i cosmologi che la materia normale e quella oscura corrispondono ad appena un terzo di tutto quello che dovrebbe esserci nell’Universo. Quello che manca, come abbiamo detto, è stato chiamato “energia oscura” e rappresenterebbe una forma di energia, non si sa bene da cosa originata, ma fornita di una proprietà piuttosto originale: la sua gravità non attrae ma respinge, con la conseguenza che l’Universo invece che rallentare, come dovrebbe, sta accelerando la sua espansione.

L’idea che possa esserci una forma di energia che si oppone alla gravità non è nuova: nel 1917, dopo la formulazione della sua teoria della relatività generale che prevedeva un modello di Universo in contrazione a causa della mutua attrazione gravitazionale esercitata dalle masse presenti in esso, nella convinzione (fra l’altro condivisa dalla maggior parte degli scienziati del tempo) che fosse fisso e immutabile, Albert Einstein si inventò una forza antagonista che chiamò costante cosmologica: essa avrebbe avuto la funzione di opporsi alla gravità fino al punto di rendere statico l’Universo. La fuga delle galassie (il famoso red shift) osservata per la prima volta da Edwin Hubble nel 1929 costrinse Einstein a ripudiare la sua idea così da definire quell’artifizio il più grave errore della sua vita.

Forse però quell’intuizione non fu un errore visto che i cosmologi non hanno mai smesso di pensare ad una qualche forma di energia che si opponesse a quella gravitazionale. Ora, se il valore della costante cosmologica ideata da Einstein fosse solo un po’ più grande di quanto è necessario per fermare la naturale contrazione dell’Universo, esso supererebbe quello conseguente all’attrazione della materia e l’Universo, invece che immobile come cercava di rappresentarlo il fisico tedesco, sarebbe in accelerazione come in effetti sembrano indicare le recenti misure eseguite su particolari stelle presenti in galassie molto lontane. La repulsione gravitazionale risolverebbe fra l’altro anche il problema dell’età dell’Universo che in seguito ad alcuni calcoli fondati sulle misure della velocità di espansione e sul suo graduale rallentamento sarebbe di soli 12 miliardi di anni; vi sono invece prove che alcune stelle sono vecchie di 15 miliardi di anni. Ammettendo un aumento della velocità di espansione, l’età dell’Universo sarebbe in accordo con quella dei corpi celesti che contiene.

Ma da che cosa potrebbe essere costituita questa misteriosa energia oscura? Gli astrofisici all’inizio avevano pensato ad una specie di energia del vuoto distribuita in modo uniforme nel tessuto stesso dell’Universo e presente anche quando da esso fosse stata tolta ogni cosa. Questa forma di energia è prevista dalla meccanica quantistica (la teoria che spiega il comportamento delle particelle subatomiche) ed è la stessa invocata dal principio di indeterminazione di Heisenberg per fare sì che emergessero dal nulla coppie di particelle virtuali.

Ogni forma di energia, come suggerisce la celeberrima equazione di Einstein (E=mc²), ha massa e quindi ha un effetto gravitazionale su ciò che le sta intorno solo che, nel caso dell’energia del vuoto, questo effetto è opposto a quello della materia la quale, come si sa, attrae e quindi rallenta l’espansione. Naturalmente l’attività di accelerazione nell’Universo primordiale avrebbe dovuto essere minima per non interferire con la formazione di stelle e galassie che in caso contrario non si sarebbero potute formare ma in seguito, dopo il lungo periodo di rallentamento, conseguente alla gravità prodotta dalla materia ordinaria ancora molto densa, l’energia del vuoto avrebbe preso il sopravvento sull’altra e l’Universo avrebbe cominciato ad accelerare l’espansione.

Attualmente, oltre all’energia del vuoto, i cosmologi pensano anche a qualche cosa di diverso che hanno chiamato “quintessenza” con chiara allusione al quinto elemento di Aristotele: quell’etere splendente ed eterno che avrebbe costituito i corpi celesti perfetti (gli altri quattro elementi, quelli che costituivano il nostro pianeta corrotto e imperfetto, erano terra, acqua, aria e fuoco). La quintessenza sarebbe quindi una quinta forza da aggiungersi alla gravitazionale, all’elettromagnetica, alla forte e alla debole che interagisce con la materia ed evolve nel tempo aumentando gradualmente di intensità.

Non sappiamo esattamente di cosa si tratti ma sappiamo che la quintessenza è un tipo di materia con proprietà radicalmente opposte a quelle della materia ordinaria e anche di quella oscura le quali, se ad esempio venissero immesse in un palloncino, tenderebbero a gonfiarlo; se nello stesso palloncino venisse invece racchiusa la quintessenza, questa tenderebbe a sgonfiarlo. La quintessenza è infatti caratterizzata da pressione negativa la quale darebbe luogo, spiegano i fisici, a “gravità repulsiva” ossia ad una forza che, come abbiamo detto, allontana i corpi invece che avvicinarli.

La quintessenza sembra essere favorita nel ruolo di energia oscura perché evolve nel tempo accrescendo gradualmente la sua efficacia mentre l’energia del vuoto è inerte e mantiene sempre la stessa densità. Ora, poiché la quintessenza produce una diversa accelerazione cosmica rispetto all’energia del vuoto, accurate misurazioni da effettuarsi con rilevatori di recente costruzione sulla luminosità di alcune supernove sistemate su galassie molto lontane potranno decidere in favore dell’una o dell’altra. Per le osservazioni si è scelto un tipo particolare di supernove estremamente brillanti (il loro splendore assoluto è 4 miliardi di volte superiore a quello del Sole) proprio perché possano essere osservate a grande distanza da due osservatori di nuova concezione posti l’uno in orbita e l’altro a terra.

Le supernove sono corpi celesti che rappresentano il residuo dell’esplosione di stelle gigantesche e gli astrofisici hanno le prove che la luminosità intrinseca (luminosità assoluta) di un tipo particolare di supernove, indicato con la sigla Ia, abbiano avuto tutte la medesima luminosità al momento in cui si sono formate. Quindi, dalla luce che si riesce a captare (luminosità apparente) si può risalire alla distanza a cui si trova la stella e di conseguenza al tempo in cui essa si è formata: in un Universo in espansione uniforme da quelle lontane dovrebbe arrivare poca luce, mentre quelle vicine dovrebbero apparire più luminose. Pochi anni fa gli astronomi avevano invece osservato che alcune supernove di tipo Ia apparivano meno luminose di quanto avrebbero dovuto essere in funzione della loro distanza non eccessiva. Al contrario, la supernova 1997 ff, esplosa 11 miliardi di anni fa, e scoperta di recente, appariva molto più luminosa del previsto. In altre parole le osservazioni mostravano che le supernove più vicine dovevano trovarsi più lontane del dovuto e quella più lontana più vicina del dovuto.

Questa osservazione anomala si può spiegare ammettendo che l’Universo nei suoi primi periodi di vita rallentò la sua espansione per effetto della forza di gravità che in quel momento doveva essere molto intensa a causa della presenza di materia molto concentrata e densa, mentre successivamente diradandosi la materia prese il sopravvento la gravità repulsiva che determinò una graduale e sempre più energica accelerazione dell’Universo.



3. IDEE ALTERNATIVE ALLA MATERIA OSCURA

Dopo tanti e inutili sforzi per il suo rilevamento infine gli astronomi si sono convinti che la materia oscura potrebbe anche non esistere. La presenza di questa enorme massa di materia non visibile si spiegherebbe infatti ammettendo la validità delle attuali leggi della fisica ma se queste leggi non fossero vere in ogni luogo o se non fossero state sempre le stesse nel corso della lunga storia evolutiva dell’Universo, si potrebbero giustificare le anomalie sul moto di stelle e galassie anche facendo a meno della materia oscura.

Basterebbe ad esempio modificare in modo opportuno le leggi di Newton che riguardano la gravitazione e la relazione che intercorre fra forza e accelerazione (secondo principio della meccanica) e il problema della materia oscura sarebbe eliminato. Non si tratterebbe di un cambiamento così sconvolgente come si potrebbe pensare: in fondo non è la prima volta che i fisici mettono le mani su alcune leggi fisiche fondamentali senza che qualcuno si scandalizzi per questo.

Una prima modifica delle leggi di Newton fu necessaria quando ci si rese conto che per descrivere il movimento dell’elettrone intorno al nucleo atomico serviva una nuova meccanica, in quanto quel movimento non poteva essere descritto utilizzando le stesse leggi che spiegano il moto di un sasso lanciato con una fionda o quello dei pianeti intorno al Sole. Successivamente Einstein adattò la dinamica newtoniana alle sue teorie della relatività: in quella ristretta il fisico tedesco alterò la seconda legge di Newton e in quella generale la legge di gravitazione universale.

Ora si ritiene che le stesse leggi di Newton sarebbero ulteriormente modificabili perché si è scoperto che l’accelerazione all’interno dei sistemi galattici è di molti ordini di grandezza inferiore a quella che agisce sui corpi a noi più vicini. Questa osservazione convinse il fisico israeliano Mordehai Milgrom che nel caso di un’accelerazione molto ridotta rispetto al normale risultava alterata la relazione che intercorre fra forza e accelerazione. La seconda legge di Newton stabilisce che la forza F che agisce su un corpo di massa m è direttamente proporzionale all’accelerazione a (F=m·a), ma quando l’accelerazione è molto piccola la forza diventerebbe proporzionale non alla semplice accelerazione, ma al suo quadrato.

Ora, se la forza che agisce sui corpi materiali è quella gravitazionale, l’accelerazione osservata nelle galassie e fra le galassie dovrebbe essere prodotta da una minore quantità di materia. In questo modo si verrebbe ad eliminare la necessità di una aggiunta di materia oscura negli spazi cosmici.

Cerchiamo ora di applicare questa ipotesi alla nostra galassia. In essa il grosso della materia è concentrato al centro e quindi in base alla dinamica newtoniana si dovrebbe osservare un movimento più lento delle stelle sistemate alla periferia rispetto a quelle più interne in analogia con quanto succede nel sistema solare dove i pianeti più esterni girano più lentamente di quelli interni. Nella nostra, ma anche in tutte le altre galassie a spirale, si nota invece un fatto anomalo e cioè che da una certa distanza dal centro in poi invece che diminuire progressivamente, la velocità delle stelle rimane costante. Per spiegare questa anomalia si è supposto che alla periferia della galassia esista una significativa quantità di materia non luminosa in grado di compensare la diminuzione della velocità osservata. Lo stesso risultato si otterrebbe però accettando l’ipotesi che la forza necessaria per impartire una certa velocità alle stelle sia inferiore a quanto richiesto dalla dinamica newtoniana.

Ma l’alternativa più promettente e audace alla materia oscura potrebbe essere la teoria della variabilità della velocità della luce. Le teorie cosmologiche più accreditate, a cominciare da quella dell’inflazione, si basano sul convincimento che alcune grandezze fisiche abbiano avuto sempre lo stesso valore. Fra queste vi è la velocità della luce: una costante che non è mai stata messa in dubbio anche perché essa sta alla base della relatività ristretta, una teoria che ha resistito egregiamente a tutti i tentativi di falsificazione.

La teoria dell’inflazione incontrò subito il favore degli astronomi perché risolveva una quantità di problemi che il modello standard del Big Bang non riusciva a spiegare. Fra questi vi erano la geometria piatta dell’Universo e la sua straordinaria omogeneità. Vediamo di cosa si tratta.

L’attuale ritmo di espansione ci consente di determinare, estrapolando a ritroso, le dimensioni che doveva avere l’Universo nel passato. Ad esempio si scopre che quando esso aveva un secondo di vita le sue dimensioni erano quelle di una sfera con un raggio di un anno luce (10.000 miliardi di kilometri), ma la luce nello stesso lasso di tempo poteva percorrere la distanza di solo un secondo luce cioè 300.000 km. In base a questi dati ci si chiese come faceva quell’Universo del passato a risultare estremamente omogeneo ed isotropo, quindi ad esempio fornito della stessa temperatura e densità e caratterizzato dalla stessa composizione chimica in ogni luogo. La luce è infatti il modo più veloce che esista per scambiare informazioni ma a quella velocità non poteva avere avuto il tempo per mettere a contatto tutte le parti di quell’immenso Universo e renderlo omogeneo. Il sistema escogitato per aggirare il problema era quello di immaginare una forte espansione dello spazio.

Se all’inizio della sua storia, mentre la luce viaggiava alla velocità di 300.000 kilometri al secondo, l’Universo si fosse espanso, dopo un secondo la luce avrebbe percorso più di 300.000 km. Per analogia si può considerare un’automobile che viaggia a 100 kilometri all’ora: dopo un'ora avrà percorso 100 kilometri, ma se nel frattempo la strada si fosse allungata come un elastico, è chiaro che dopo un’ora la nostra automobile, pur viaggiando a 100 km all'ora, avrebbe percorso più di 100 kilometri. La teoria inflazionaria postula proprio questo e cioè che l’Universo primordiale si sia espanso in misura tale che regioni a prima vista disgiunte in realtà siano state in connessione durante l’espansione inflazionaria in modo da raggiungere tutte insieme la stessa temperatura, la stessa densità e la stessa distribuzione della materia prima di trovarsi di nuovo separate alla fine dell’espansione esponenziale.

Lo stesso risultato si otterrebbe però immaginando che in quei tempi lontani la luce procedesse a velocità maggiore. Se infatti quando l’Universo aveva un secondo di vita la luce avesse viaggiato alla velocità di 10.000 miliardi di kilometri al secondo invece che 300 mila, essa avrebbe potuto percorrere l’Universo in lungo e in largo connettendo anche le parti più lontane di esso e rendendolo nel complesso uniforme.

La teoria della variabilità della luce presenta però un dettaglio non trascurabile che è costituito dalla mancanza assoluta di prove. Per il momento abbiamo solo la prova che nell’ultimo miliardo di anni la velocità della luce non è cambiata. Cosa sia successo prima di quella data non solo non sappiamo ma non sarà nemmeno facile individuare misure e osservazioni che ci possano fornire al riguardo qualche informazione affidabile.

http://www.cosediscienza.it/astro/12.%20ENERGIA%20OSCURA.htm

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