martedì 5 febbraio 2008

I MODELLI DELL'UNIVERSO-7-10 PARTE

Parte VII

Il mondo subatomico della materia è costituito da alcune particelle
elementari, a cui si devono aggiungere le mediatrici delle forze.
Secondo le teorie più moderne, infatti, non solo la materia, ma anche le forze
che agiscono su di essa sarebbero costituite di particelle.



Oggi sappiamo che la materia è formata da pochi tipi di particelle elementari, tenuti insieme da quattro forze (o interazioni come preferiscono chiamarle i fisici) fondamentali. Le particelle elementari che costituiscono tutti gli oggetti materiali stabili sono gli elettroni e i quark i quali ultimi, combinandosi fra loro, formano protoni e neutroni, i componenti del nucleo atomico. Le quattro forze fondamentali sono: la gravitazionale, l'elettromagnetica, la nucleare debole e la nucleare forte.

La gravitazionale è la forza più debole di tutte, ma è anche quella che fa sentire i suoi effetti alle distanze maggiori: essa, oltre a regolare il moto di stelle e pianeti, determinerà il destino ultimo dell'Universo il quale, per il momento, si sta espandendo, ma fra qualche tempo potrebbe iniziare a contrarsi, proprio per l'azione che la forza di gravità esercita sulle masse. La forza elettromagnetica tiene uniti gli elettroni ai nuclei atomici e inoltre lega insieme gli atomi e le molecole che formano le diverse sostanze. La debole e la forte sono forze molto intense (soprattutto la seconda), ma fanno sentire la loro azione solo a breve distanza: la prima è responsabile di alcuni tipi di disintegrazione radioattiva, mentre la seconda tiene uniti protoni e neutroni, e gli stessi quark che a loro volta li costituiscono.

Le forze, che all'apparenza sembrano manifestarsi come qualche cosa di immateriale, secondo le visioni più moderne della fisica, agirebbero invece per mezzo di particelle che si spostano incessantemente fra un corpo e l'altro. Queste particelle sono dette gluoni (da glue che in inglese vuol dire “colla”) e rappresenterebbero per l’appunto la colla che tiene unito il mondo. Il gluone associato all’interazione gravitazionale è detto gravitone mentre il portatore dell’interazione elettromagnetica è il fotone, la particella che fuori dell’atomo è il quanto di luce. I bosoni medi (o particelle W± e Z°) sono quelli che mediano la forza nucleare debole, e i gluoni “colorati” generano le forze che tengono uniti quark, protoni e neutroni.

Quindi, come la materia, anche le forze sarebbero fatte di particelle. Alcune delle particelle portatrici di forze sono note, mentre altre sono solo ipotizzate: così ad esempio nessuno ha mai visto fino ad ora il gravitone.

Secondo le teorie più moderne le quattro forze fondamentali, che oggi ci appaiono distinte, sarebbero state unite tutte insieme in un'unica forza quando l'Universo era nella fase iniziale della sua esistenza. Queste teorie impongono infatti che le forze si unifichino quando le temperature sono molto elevate e, in tempi lontani, l'Universo doveva essere, per l'appunto, molto caldo.

L’Universo, nonostante le apparenze, attualmente è spazio freddo e quasi privo di materia: la sua temperatura, a prescindere da quei puntini luminosi e caldi che sono le stelle, a stento raggiunge i 3 gradi assoluti (3 K) corrispondenti a 270 gradi centigradi sotto zero (-270 °C) e gli enormi spazi fra stelle e galassie sono molto più vuoti del vuoto più spinto che si riesce ad ottenere in laboratorio (si usa dire che l’Universo è pieno di stelle ma in realtà esso è pieno di vuoto mentre le stelle rappresentano l’eccezione).

Per simulare istanti sempre più remoti dell'Universo primordiale, immaginiamo di innalzare, senza limiti, la temperatura all'interno di un forno ideale (se fosse reale alle temperature previste dal nostro esperimento si dissolverebbe ben presto). Prima di accendere il nostro forno svuotiamolo di ogni cosa, compresa l’aria, e portiamolo alla temperatura dello zero assoluto, in modo che al suo interno non vi siano né atomi né fotoni e poi diamo inizio all'esperimento.

A mano a mano che la temperatura sale il forno si riempie di fotoni sempre più numerosi e sempre più energetici. Quando la temperatura raggiunge alcuni miliardi di gradi (molti di più di quelli che si registrano all’interno delle stelle) i fotoni iniziano a interagire per formare particelle materiali. Si sa che materia ed energia sono entità interscambiabili nel senso che da materia si può ottenere energia e da energia materia, come suggerisce la ben nota legge di Einstein: E=mc² (E è l’energia, m la massa e c la velocità della luce). Ora, come l’annichilazione di particelle elementari può generare fotoni così l’incontro di due fotoni altamente energetici può generare un elettrone e un positone (particella identica all’elettrone ma con carica positiva invece che negativa). Ogni particella (escluso il fotone) quando si materializza appare sempre accompagnata dalla sua antiparticella: nel caso dell’elettrone esso si presenta sempre insieme con il positone (alcuni lo chiamano positrone ma forse, tenuto conto dell’etimologia del termine, la “r” è di troppo).

Aumentando ancora la temperatura gli stessi elettroni e positoni possono, anziché ridiventare fotoni, dar vita a coppie neutrino-antineutrino; e qualora si protraesse il processo di riscaldamento, alla temperatura di 1014 K si formerebbero coppie protone-antiprotone e neutrone-antineutrone.

A temperature ancora più alte si noterebbe la disintegrazione di protoni e neutroni con liberazione dei quark e delle corrispondenti particelle mediatrici delle forze che li tenevano uniti. A temperature così elevate non solo si libererebbero i gluoni dall’interno della materia ma alcuni di essi perderebbero la loro identità. Nel 1983 il fisico goriziano Carlo Rubbia, insieme con il collega olandese Simon Van der Meer, servendosi del potente acceleratore di particelle presente al CERN (Centro Europeo per la Ricerca Nucleare) di Ginevra riuscì a dimostrare che alle massime energie ottenibili all’interno di quella pista circolare che corre nel sottosuolo al confine fra Svizzera e Francia, non si notava più alcuna distinzione fra l’interazione elettromagnetica e la nucleare debole, in quanto le particelle Wˉ, W+ e Z° diventavano dei quanti praticamente privi di massa e quindi identici ai fotoni. L’esperimento mostrava pertanto che alla temperatura di 1015 K non vi sono più quattro forze, ma solo tre: elettrodebole (elettromagnetica e debole unite insieme), forte e gravitazionale.

Più in là di così con l’esperimento non si riesce ad andare perché per unificare le altre forze si dovrebbe disporre di energie tanto elevate che neppure un acceleratore che si sviluppasse attorno alla Terra lungo l’equatore riuscirebbe a produrre. Esistono però le teorie, alcune delle quali tentano di unire alla elettrodebole anche la forza forte: esse sono note come Grandi Teorie Unificate (GUT), un titolo piuttosto esagerato perché in realtà non si tratta di grandi teorie né tanto meno di teorie pienamente unificate. Attualmente l’ambizione massima dei fisici è tuttavia quella di trovare una teoria che associ alle altre anche la gravitazionale in una singola Superforza unificata.

Le teorie che tentano di unificare le quattro forze fondamentali prevedono che quando la temperatura raggiunge i 1028 K si vengano a formare particelle misteriose denominate X e anti-X le quali renderebbero possibile la trasformazione di particelle leggere (ad esempio elettroni) in quark, e viceversa. A temperature superiori a 1028 K sparirebbero inoltre le individualità fra tutte le particelle e non si distinguerebbe più nemmeno fra particelle di forze e particelle di materia. Finalmente, approssimandosi al cosiddetto limite di Planck (1032 K), il nostro forno sperimentale si ridurrebbe ad una bolla piena di niente, ovvero di niente di tutto ciò che è proprio della nostra esperienza diretta: si finirebbe cioè in una specie di “terra di nessuno” in cui il caos più completo prenderebbe il posto delle leggi di natura.



Parte VIII

Poco dopo essere emerso dal nulla, l'Universo si dilatò con straordinaria
violenza, ma venne subito energicamente frenato dalla forza di gravità.
Un attimo più tardi subì però una seconda dilatazione che gli fece assumere,
in un tempo brevissimo, dimensioni incredibilmente enormi.



Cerchiamo ora di descrivere le prime fasi della storia dell'Universo in modo un po’ più dettagliato di quanto non si sia fatto in precedenza.

Se accettiamo per l'Universo una genesi quantistica, non possiamo partire dal tempo t=0, ma dobbiamo accontentarci di iniziare la descrizione della sua evoluzione dal tempo t=10-43 secondi, dal momento cioè in cui ha un senso applicare le leggi della fisica a noi note. Il primo periodo di vita dell'Universo, quello che ci è impossibile descrivere, è detto «Epoca della Gravità Quantistica» o «Epoca di Planck».

Al tempo t=10-43 s l'Universo aveva già raggiunto le dimensioni di Planck, cioè era un "oggettino" di grandezza minima (10-99 cm3), che pesava 10-5 grammi (meno di un granello di polvere): eppure un'entità in apparenza insignificante quale è questa particella, possedeva una densità enorme (1094 grammi per centimetro cubo). Per farsi un'idea di cosa significhi una densità del genere dobbiamo considerare le stelle di un gran numero di galassie contenute in un volume non più grande di un protone: un oggetto inaccessibile alla nostra immaginazione. In realtà non si trattava nemmeno di un oggetto vero e proprio, ma di una struttura contenente l'equivalente in energia di quella massa e quindi in pratica una cosa vuota di ciò che appare nel mondo macroscopico ordinario ma piena di potenzialità e per la quale i fisici hanno coniato il termine di «bolla». Questa entità rappresenterebbe una delle tante particelle virtuali che, in quella fase, si formavano, scoppiavano e si riformavano in continuazione a causa delle fluttuazioni quantistiche del vuoto, proprio come fanno le bollicine che stanno all'interno della panna.

Ora, la prima difficoltà che si incontra in questo scenario è quella di capire come una particella virtuale si sia potuta trasformare in reale, anche perché le leggi della meccanica quantistica impongono che ogni particella elementare debba essere sempre accompagnata dalla sua antiparticella, cioè da una particella identica alla prima, ma diversa per qualche fondamentale proprietà. Quindi, quando dal vuoto quantistico emerge una particella nasce, nello stesso tempo, anche la sua antiparticella: l'incontro fra particella ed antiparticella conduce poi alla reciproca annichilazione e il loro posto viene preso da energia indifferenziata.

Allo stesso modo, quando l'Universo primordiale emerse dal nulla, sotto forma di particella quantistica, dovette comparire insieme con esso, anche il suo omologo e contrario, ossia un «Antiuniverso». I due Universi, poi, ovviamente non si scontrarono altrimenti sarebbero sprofondati nuovamente nel vuoto quantistico. Da dove trassero la forza per evitare lo scontro? Questa energia, dicono i fisici, sarebbe stata messa a disposizione dal vuoto stesso: ma si trattò solo di un prestito, una specie di mutuo contratto con la “banca universale” che prima o poi dovrà essere restituito, altrimenti verrebbe violata una legge fondamentale di natura (quella che impone che nulla possa essere creato dal nulla).

La cosiddetta «Epoca della Gravitazione Quantistica» è caratterizzata dall'unificazione di tutte e quattro le forze fondamentali. Essa termina al tempo t=10-43 s, e, come abbiamo detto, è solo da quel momento in poi che ha un senso applicare le leggi della fisica. Nell'istante iniziale, la temperatura doveva avere un valore superiore a quello imposto dai limiti di Planck, cioè 1032 K (centomila miliardi di miliardi di miliardi di gradi sopra lo zero assoluto) e le particelle materiali e le forze dovevano essere riunite tutte insieme in un amalgama indistinto, privo di qualsiasi struttura e forma e quindi perfettamente simmetrico.

L'Universo, appena posto in essere, avrebbe dovuto iniziare ad espandersi e ad arricchirsi di materia ed energia, e questo rappresenta il secondo grosso problema che i fisici hanno dovuto risolvere. Da dove avrebbe tratto l'energia necessaria per espandersi un oggetto tanto denso che il suo stesso campo gravitazionale, inevitabilmente, avrebbe dovuto trasformarlo in un buco nero? La risposta, anche in questo caso, viene fornita da un modello che, purtroppo, per quanto attraente e profondo possa apparire, non potrà mai essere verificato sperimentalmente. Esso farà la fine di tanti altri modelli teorici quando alcune scoperte, per ora imprevedibili, lo renderanno incoerente: verrà cioè abbandonato.

In precedenza avevamo fatto osservare che per riunire tutte insieme forze e particelle materiali si dovevano impiegare grandi quantità di energia; ora è intuitivo che nell'operazione contraria questa energia in qualche modo debba essere messa in libertà. Secondo la teoria più accreditata, si sarebbero verificati, nell'Universo primitivo, gli stessi fenomeni (ma di entità ben maggiore) a cui si può assistere oggi nei passaggi di stato.

Tutti sanno che quando la materia passa ad esempio dallo stato solido a quello liquido, cioè da una condizione a struttura ordinata ad una più disordinata viene assorbita energia dall'ambiente esterno, mentre, quando un liquido si trasforma in solido, cioè quando la struttura acquista maggior ordine, quest'energia viene rimessa in libertà. Ebbene, proprio i concetti di rottura spontanea di simmetria e di transizione di fase, sono fondamentali, nelle più recenti teorie, per la descrizione dell'evoluzione dell'Universo.

Questo, per un breve istante dopo che venne alla luce, era estremamente simmetrico ed omogeneo ma, al tempo t=10-43 s, avvenne la prima rottura spontanea di simmetria, causata dal distacco della forza gravitazionale dalle altre con le quali stava unita. Questo fenomeno che, come abbiamo detto, può essere assimilato ad una transizione di fase, provocò la liberazione di una notevole quantità di energia. L'Universo allora iniziò ad espandersi, ma l'espansione, in quella fase, non fu eccessiva perché venne subito energicamente frenata dall'azione stessa della forza di gravità.

Dal tempo t=10-43 s al tempo t=10-35 s l'Universo visse l'epoca detta di «Grande Unificazione». Solo dall’inizio di questa fase esso divenne osservabile, nel senso che solo da quel momento in poi è lecito applicare alla nuova struttura le leggi della fisica che conosciamo. In quest'epoca sono presenti due soli tipi di particelle materiali, quark e leptoni (dal geco leptos, che vuol dire leggero, quindi particelle interagenti piuttosto debolmente come sono ad esempio gli elettroni e i neutrini) che si tramutano in continuazione gli uni negli altri tramite le oscure particelle di scambio X e anti-X che abbiamo già incontrato all’interno del nostro forno ideale, e sono altresì presenti i fotoni (le particelle di energia).

Al tempo t=10-35 s avvenne il distacco della seconda forza dal gruppo delle tre che ancora erano rimaste unite e il tutto si realizzò nel giro di una minuscola frazione di secondo. Avvenne cioè quel fenomeno che va sotto il nome di «inflazione», un termine che fu preso in prestito dall’economia dove l’inflazione dei prezzi si fa sentire ovunque a livelli più o meno alti: il primato mondiale tuttavia va probabilmente alla Germania del primo dopoguerra quando, nel giro di pochi mesi, il prezzo di un chilo di pane lievitò da pochi marchi a milioni di marchi. Quella proposta alcuni anni fa dal giovane fisico americano Alan Guth consiste in una espansione rapidissima (molto superiore a quella dei prezzi) dell'Universo che produsse, in un tempo di soli 10-32 s, una crescita del suo diametro di un fattore di circa 1030. Si trattò di un'esplosione di portata gigantesca confrontabile con quella che porterebbe, in una frazione irrilevante di secondo, un oggetto grande quanto un atomo a dimensioni superiori a quelle dell'intera nostra Galassia. Dopo questa fase di espansione esponenziale l’evoluzione dell’Universo continuò secondo quanto previsto dal modello classico.



Parte IX

Secondo il nuovo modello noto come «Universo inflazionario»,
l'Universo osservabile sarebbe immerso in una regione di spazio molto
più vasta conseguente ad una rapidissima crescita avvenuta
una frazione irrilevante di secondo dopo l'origine.



Per piegare il meccanismo della "fase inflazionaria" bisogna partire dall'osservazione che la temperatura attuale del nostro Universo non raggiunge i 3 gradi assoluti, il suo raggio è stimato in circa 15 miliardi di anni luce e la sua età dovrebbe essere compresa fra i 10 e i 20 miliardi di anni; esso inoltre è in continua espansione.

Ebbene, estrapolando l’attuale ritmo di crescita a ritroso nel tempo l’Universo diventerebbe sempre più denso e più caldo. Fermiamoci al momento della grande unificazione cioè nell’attimo in cui tre delle quattro forze fondamentali risultano unite assieme. Questa situazione si verificò quando la temperatura dell’Universo in formazione era di 1028 K ed erano passati solo 10-35 secondi dalla sua nascita. Si è potuto così valutare che il raggio dell’Universo al tempo della grande unificazione era di soli 3 millimetri: una misura che sembra piccolissima, ma in realtà è enorme.

All’epoca della grande unificazione la distanza che la luce aveva potuto percorrere dall’inizio del tempo era di soli 3·10-24 mm quindi una distanza di gran lunga inferiore alle dimensioni dell'Universo di allora. Se la luce aveva potuto percorrere solo un tratto brevissimo dello spazio disponibile come si spiega il fatto che quell'ambiente fosse tanto omogeneo? Oggi l'Universo ha le stesse caratteristiche in ogni dove ed anche quando era di dimensioni molto più piccole doveva essere altrettanto omogeneo ed isotropo ma se la luce che è il segnale più veloce che ci sia non poteva aver percorso che una distanza minima all'interno di quella struttura primitiva come poteva aver connesso fra loro le varie parti di essa in modo da renderle uniformi? La risposta è una sola: all'interno di quella sfera di tre millimetri di diametro vi erano molti miliardi di piccole sferette indipendenti l'una dall'altra ma dalle caratteristiche simili e solo una di esse sarebbe diventata il nostro Universo visibile.

Sennonché qualora il granellino del nostro Universo primordiale si fosse sviluppato alla velocità a cui oggi procede l’espansione esso avrebbe raggiunto attualmente dimensioni non superiori ad un centinaio di kilometri mentre solo immaginando un’espansione più rapida nelle prime fasi di vita le sue dimensioni si sarebbero potute ampliare fino a raggiungere quelle attuali.

Per spiegare come abbia potuto l’Universo raggiungere le attuali dimensioni in “soli” 15 miliardi di anni a partire da un corpuscolo di grandezza irrilevante si è resa necessaria la modifica del modello standard in prossimità del Big Bang. L’idea di un Universo che all’inizio dei tempi si sarebbe espanso in modo impressionante venne per primo al già ricordato fisico americano Alan Guth (1947- ). Egli, alla fine del 1979, propose un’ipotesi molto originale e audace: calcolò che quando l’Universo aveva l’età di 10-35 secondi e solo la forza gravitazionale si era staccata dal resto mentre le altre erano ancora unite assieme si verificò un fenomeno impressionante e unico.

In quell’istante avvenne nell’Universo ciò che abbiamo chiamato una transizione di fase. Essa può essere assimilata, come si ricorderà, ad un passaggio di stato. Riprendiamo quindi l'analogia con riferimento all'acqua che, al variare della temperatura, cambia stato fisico: quando l'acqua diventa ghiaccio, avviene una rottura spontanea della simmetria. La struttura dell'acqua, allo stato liquido, è infatti simmetrica, perché si presenta tale da apparire con le stesse proprietà in tutte le direzioni, mentre il ghiaccio contiene assi preferenziali di cristallizzazione e di conseguenza caratteristiche morfologiche diverse nelle diverse direzioni. Il passaggio dell'acqua dallo stato liquido a quello solido comporta, come sappiamo, la liberazione di energia sotto forma di calore.

Ora, è possibile operare con l'acqua in modo tale che il suo raffreddamento sia rapidissimo: si verifica in tal caso il fenomeno che va sotto il nome di «superraffreddamento»: l'acqua cioè viene raffreddata a temperature molto basse, fino a 20 gradi sotto lo zero, senza che si verifichi la solidificazione. Il liquido, in queste condizioni, si trova però in uno stato di estrema instabilità e, all'improvviso, diventa ghiaccio liberando tutta l'energia che, per breve tempo, era rimasta immagazzinata al suo interno, mentre la sua temperatura risale a quella di congelamento, cioè a zero gradi centigradi.

Qualcosa di simile sarebbe avvenuto, secondo la teoria dell'inflazione, nell'Universo primitivo. Al tempo t=10-35 s dall'inizio, la forza forte si sarebbe separata dalle altre ma senza far seguire, a questo distacco, l'immediata liberazione di energia. Questa si sarebbe invece conservata, invisibile, all'interno della materia, fino al tempo t=10-32 s, creando una situazione di forte instabilità che è stata chiamata «falso vuoto».

Il «falso vuoto» è un concetto fondamentale all'interno del modello inflazionario per tenere in piedi il quale si ipotizza che nel momento teorico della separazione della forza forte da quella elettrodebole (elettromagnetica e debole insieme), avvenne che le tre forze rimasero invece ancora unite insieme per un brevissimo lasso di tempo, nonostante che la temperatura, nel frattempo, continuasse a scendere, creando una situazione di «stato eccitato» cioè fortemente instabile. Esso può essere paragonato alla situazione in cui si viene a trovare l’atomo quando alcuni dei suoi elettroni stazionano momentaneamente sulle orbite più esterne. In tal caso si dice che l’atomo è eccitato e tende spontaneamente a riportare gli elettroni sulle orbite più interne (quelle a minore contenuto energetico e quindi più stabili): nel fare ciò emette energia.

Allo stesso modo, quando la forza forte si separò bruscamente dalle altre due, dovette liberarsi un'enorme quantità di energia che consentì all'Universo di espandersi ad un ritmo incomparabilmente superiore a quello attuale. Nel tempo che va da 10-35 s a 10-32 s, l'Universo si accrebbe infatti in modo impressionante, passando da dimensioni infinitamente piccole (alcuni miliardi di volte inferiori a quelle di un protone), fino a quelle di una palla di una decina di centimetri di diametro. Per farsi un'idea più chiara del fenomeno si immagini una pallina di pingpong che, in una frazione irrilevante di secondo, diventi un miliardo di volte più grande della nostra galassia: questo è quanto avvenne nel nostro Universo durante la fase inflativa.

Alla fine di questa espansione l'Universo si sarebbe trovato con tutta l'energia e con tutta la materia necessaria a formare ogni cosa che lo popola: stelle, pianeti e la grande varietà di forme viventi compresi noi uomini; frattanto la sua temperatura sarebbe di nuovo risalita fino a quasi 1027 gradi centigradi.

Se le teorie di grande unificazione fossero vere, l'Universo sarebbe quindi stato messo in essere da una sequenza graduale di rotture spontanee di simmetria causate dalla separazione successiva delle forze, dall'unica primitiva che le comprendeva tutte. Ad ogni distacco di una forza si liberò dell'energia: a 10-43 s dall’inizio si rese indipendente la gravità, poi al tempo t=10-35 s si liberò l’interazione forte e infine le ultime due forze si separarono a 10-11 s dall’inizio. Se quindi vi fosse, ad esempio, una quinta forza, questa oggi si troverebbe ovviamente ancora racchiusa in una delle quattro già esistenti, ma un giorno anche questa potrebbe separarsi liberando altra energia e dando quindi un'ulteriore spinta alla crescita dell'Universo.

Parte X

Il modello classico del big bang non era stato in grado
di spiegare tutta una serie di dati di osservazione a cui, invece,
il modello dell'Universo inflazionario è riuscito
a dare giustificazione rigorosa e coerente.



Il modello dell'Universo inflazionario risolve alcuni problemi che il modello standard del Big Bang non era stato in grado di chiarire: descriviamone alcuni fa i più significativi. Il primo, a cui si è già fatto cenno, è noto come «problema dell'orizzonte».

Immaginiamo di osservare due regioni del cosmo sistemate in posizioni diametralmente opposte e a grande distanza (diciamo a 10 miliardi di anni luce da noi): esse sono quindi lontane 20 miliardi di anni luce l'una dall'altra. Queste due zone dello spazio non hanno mai potuto comunicare tra di loro scambiandosi un messaggio perché non è trascorso ancora abbastanza tempo da quando si verificò il Big Bang. Affinché la luce o qualsiasi altra forma di energia (che comunque non potrà mai viaggiare più veloce della luce) abbia potuto rimbalzare fra due punti distanti 20 miliardi di anni luce deve avere avuto a disposizione un tempo di almeno 20 miliardi di anni, ma 20 miliardi di anni fa l'Universo non era ancora nato. Quindi le due regioni che abbiamo scelto per le nostre osservazioni oggi non sono sufficientemente vicine per scambiarsi un segnale, ma non lo furono nemmeno in passato quando l'Universo era sì molto più piccolo di oggi, ma anche la sua età era proporzionalmente minore.

Ora, la cosa sorprendente è che queste due regioni, che non sono mai state in contatto, siano identiche. In realtà l'intero l'Universo osservabile è molto omogeneo, cioè mediamente con la stessa densità e la stessa temperatura in ogni sua parte, e questa coincidenza generale di forme non è per nulla ovvia. In qualsiasi direzione si effettuino le osservazioni, e a qualsiasi distanza, si incontrano sempre gli stessi oggetti celesti che diffondono lo stesso tipo di energia e che operano tutti in accordo con le stesse leggi della fisica. Questa constatazione stupisce e ci si chiede come sia possibile che zone così lontane da non aver mai potuto comunicare tra loro e che quindi non potevano influenzarsi a vicenda si siano trovate poi tanto d'accordo nel seguire le stesse leggi di natura.

E' un po' come se l'insegnante constatasse, correggendo i compiti di matematica svolti in classe dai suoi alunni, che questi sono tutti uguali, perfino nei dettagli. Che cosa dovrebbe pensare? Ovviamente che gli allievi hanno copiato, cioè che hanno avuto modo, durante la prova, di comunicare fra loro. Certo, potrebbe anche pensare che gli alunni hanno svolto il tema autonomamente e tuttavia lo svolgimento è stato identico. La cosa, anche se possibile, apparirebbe però, agli occhi del professore, quanto meno poco probabile.

Allo stesso modo, stupisce il fatto che regioni che in passato non sono mai state causalmente connesse, perché si trovavano distanti più del loro "orizzonte", cioè più di quanto fosse necessario per poter essere mai state in un qualsiasi rapporto di causalità, si trovino oggi in condizioni di tale omogeneità e concordanza di aspetti da lasciare pensare che in passato ci possa essere stato "qualcuno" che abbia avuto tempo e modo di rimescolare accuratamente il contenuto dell'Universo distribuendo materia ed energia uniformemente. In realtà non sarebbe soddisfacente ammettere che l’Universo oggi appare così fortemente omogeneo e isotropo perché è sempre stato in queste condizioni, fin dalla sua origine. Ciò equivarrebbe alla rinuncia di una spiegazione scientifica dell’osservazione.

Il modello dell'Universo inflazionario risolve invece elegantemente questo problema. Secondo questa nuova teoria, l'Universo che siamo in grado di osservare è infatti solo una piccola parte di ciò che ha subito l'inflazione all'inizio dei tempi. Prima della fase inflazionaria tutte le parti dell'Universo che oggi osserviamo erano vicinissime tra loro ed avevano avuto modo di rimescolarsi e scambiarsi informazioni e messaggi influenzandosi a vicenda fino ad assumere una composizione omogenea. Poi vi fu quell'esplosione di proporzioni gigantesche che portò in un attimo, e ad una velocità ben superiore a quella della luce, l'Universo ad ingrandirsi di miliardi e miliardi di volte più di quello che si sarebbe potuto realizzare al ritmo di espansione attuale. E' chiaro allora il motivo per il quale molte sue parti risultino lontanissime tra loro e tuttavia identiche: l'omogeneità generale era già stata raggiunta in precedenza.

Questa constatazione risolve anche un secondo problema a cui il modello standard non era in grado di dare risposta, ossia quello relativo alla «curvatura nulla».

Si tratta di questo: l'Universo attualmente si sta espandendo, ma questa espansione durerà per sempre o un giorno finirà ed inizierà il fenomeno contrario? Tutto dipende dalla quantità di materia presente in esso: se questa è abbondante l'attrazione gravitazionale delle galassie finirà per fermare l'espansione e l'Universo si contrarrà fino a collassare in un formidabile Big Crunch (cioè in un'implosione); un Universo di questo tipo viene definito «chiuso». Se invece la materia presente è in quantità insufficiente, l'Universo continuerà ad espandersi per sempre: in tal caso esso viene definito «aperto». Nel primo esempio la geometria dell'Universo è, come suole dirsi, di tipo sferico, cioè con proprietà simili a quelle che si manifestano sulla superficie di una sfera, nel secondo caso è di tipo iperbolico cioè con proprietà geometriche simili a quelle presenti sulla superficie di una sella.

Ora, la cosa strana è che la materia esistente nell'Universo sembra essere in quantità tale per cui lo stesso si troverebbe in una situazione intermedia, ossia in una situazione per la quale non è possibile decidere se sia chiuso o aperto. Ma se l'Universo oggi è effettivamente in queste condizioni, cioè «piatto», vuol dire che all'inizio, la violenza dell'esplosione fu tale da allontanare la materia in modo che questa, pur rallentando la sua corsa nel tempo, fosse destinata a non fermarsi mai. In altre parole, sarebbe come se, all'inizio dei tempi, fosse stata calibrata la potenza dell'esplosione tenendo conto della quantità di materia presente in modo che la conseguente espansione non risultasse né molto forte né molto debole.

Il modello dell'Universo inflazionario è in grado di risolvere brillantemente anche questo problema perché considera che l'incredibile espansione a cui andò incontro l'Universo durante la fase inflazionaria avrebbe creato uno spazio molto più vasto di quello che in realtà siamo in grado di osservare. In pratica è come se noi oggi stessimo esaminando un piccolissimo tratto della superficie di un pallone di dimensioni enormi. Questo piccolo tratto di superficie ci apparirebbe piatto, come ci appare piatto un campo di calcio benché esso rappresenti un tratto della superficie terrestre che, come tutti sanno, è curva.

Vi è un altro enigma che la teoria dell’inflazione risolve coerentemente ed è quello della "assenza dei monopoli magnetici". Questi sono particelle ipotetiche con un solo polo magnetico (sud o nord) mentre, come tutti sanno, nelle normali calamite non è possibile separare l’uno dall’altro. La presenza di queste strane particelle (fra l’altro pesantissime) è prevista dalla teoria inflazionaria in quanto all’inizio dei tempi avrebbero svolto il ruolo di catalizzatori ossia di acceleratori delle trasformazioni dei leptoni in quark e viceversa. Sennonché, la conferma sperimentale dei monopoli è impossibile perché per produrli sarebbe necessario disporre di quantità enormi di energia; l’unica possibilità sarebbe quella di osservarli direttamente nella materia, ma finora, se si esclude un caso isolato ancorché dubbio, nessuno li ha visti. Ciò evidentemente dipende dal fatto che la materia con l’inflazione si è enormemente diluita e con essa si sono rarefatti anche i monopoli magnetici.



Parte XI

Fino a pochi anni fa chiedersi cosa ci fosse stato prima
del Big Bang non aveva senso perché
si pensava che con esso fosse nata ogni cosa:
materia, energia, spazio e tempo.



La fine del secolo che si è appena concluso ha portato con sé due grosse novità in ambito astronomico: l’una riguardante l’osservazione che l’Universo sta accelerando la sua espansione e non rallentando (come si era sempre pensato) e l’altra relativa all'affermarsi di una nuova teoria che dovrebbe portare alla unificazione di tutte e quattro le forze fondamentali della natura, ivi compresa la gravità, che fino ad ora ne era rimasta esclusa. La prima scoperta è destinata a cambiare le nostre aspettative riguardo al destino ultimo dell’Universo, mentre la seconda apre nuovi scenari relativamente alla fase precedente al Big Bang.

Iniziamo dalla prima. Fino a pochi anni fa gli astronomi erano convinti che l’Universo stesse rallentando la sua espansione frenato dalla forza di gravità che si oppone, anche se in modo sempre meno efficace, alla spinta iniziale. Ora però una serie di osservazioni eseguite su alcune supernovae hanno convinto gli astronomi che l’Universo in realtà sta accelerando la sua corsa.

Le supernovae sono stelle molto massicce le quali terminano la loro esistenza con una formidabile esplosione che le rende visibili anche in galassie molto lontane. Ne esistono di vari tipi: quelle denominate Ia (tipo primo “a”) hanno la caratteristica di essere tutte ugualmente luminose al momento dell’esplosione, ossia di presentare la stessa luminosità intrinseca e quindi di apparire tanto più fioche quanto più sono lontane. Luminosità intrinseca (o assoluta), luminosità apparente e distanza di una stella sono tre grandezze legate fra loro da una semplice relazione matematica: ragione per cui se sono note due di esse è nota anche la terza.

Ebbene, la distanza di una supernova di tipo Ia può essere determinata dalla misura del red shift della galassia entro la quale la stella si trova. Il red shift ci informa che la galassia si sta allontanando tanto più velocemente quanto più è lontana, ma non ci dice se compia tale operazione accelerando o decelerando la sua corsa. Questa informazione ci viene invece fornita dalla supernova: se l’Universo stesse decelerando la supernova sarebbe più vicina e più brillante di quanto suggerito dalla misura del red shift, se stesse accelerando la supernova sarebbe più lontana e quindi apparirebbe più debole del previsto. Le osservazioni di fine secolo hanno mostrato che le supernovae presenti in galassie non molto lontane sono tutte più deboli di quanto ci si attenderebbe e quindi l’Universo starebbe accelerando la sua espansione.

Ora però osservazioni più recenti, eseguite grazie al satellite Hubble su supernovae poste in galassie tanto lontane che i telescopi da terra non riescono a vedere, hanno mostrato che l’Universo molto antico decelera. Ciò è quanto si aspettavano anche gli esperti i quali ritenevano che se l’espansione dell’Universo fosse stata sempre in accelerazione questo continuo aumento della velocità avrebbe finito per smembrare le galassie e gli ammassi di galassie che forse in quelle condizioni non avrebbero nemmeno avuto modo di formarsi.

Ma se l’Universo è veramente in una fase di accelerazione allora diventa necessario ipotizzare l'esistenza di una forma di energia, che i cosmologi hanno chiamato “energia oscura”, la quale si aggiunge a quella che ha provocato il grande scoppio iniziale. Non si tratta di poca cosa perché si è calcolato che questa energia di natura misteriosa dovrebbe rappresentare il 70% di tutta l’energia dell’Universo; il restante sarebbe quasi interamente formato dalla cosiddetta “materia oscura” mentre la comune materia, quella che si rende visibile agli strumenti ottici, non sarebbe superiore all’uno per cento del totale. Si è anche calcolato che se la spinta generata dall’energia oscura rimanesse costante nel tempo, o dovesse addirittura aumentare in futuro, l’Universo diventerebbe sempre più vuoto e in meno di cento miliardi di anni rimarrebbero visibili solo alcune centinaia di galassie, mentre tutte le altre presenterebbero uno spostamento verso il rosso della loro luce tanto elevato da risultare praticamente invisibili.

Esaminiamo ora la seconda scoperta, che non costituisce di per sé una vera e propria novità. Nel lontano 1968 un giovane fisico italiano (oggi sessantenne) di nome Gabriele Veneziano, scoprì che le particelle puntiformi e prive di struttura interna previste dal cosiddetto “modello standard delle particelle elementari” sono in realtà dei fili sottilissimi che vibrano. I costituenti ultimi della materia sarebbero cioè minuscole cordicelle dette “stringhe” (dalla traduzione letterale del termine anglosassone string) le quali vibrando formerebbero tutti i costituenti fondamentali della materia e delle forze.

La teoria che si ottiene sostituendo gli oggetti puntiformi privi di estensione spaziale con le stringhe unidimensionali è in grado di inglobare la forza di gravità con le altre in modo naturale. La teoria delle stringhe non è unica: ne esistono ben cinque tipi diversi. Essi contemplano una serie di aspetti sconcertanti del mondo che ci circonda ad iniziare da quello in virtù del quale lo spazio non avrebbe solo le tre dimensioni di cui abbiamo esperienza diretta ma ben nove, oltre alla dimensione temporale.

Verso la fine degli anni ‘90 si è fatto un ulteriore passo in avanti scoprendo che le cinque teorie che frattanto erano diventate di superstringa, per avere incluso il principio di simmetria fra bosoni (particelle mediatrici delle forze) e fermioni (particelle di materia), sono in realtà aspetti diversi di una sola teoria fondamentale detta M-teoria, cioè madre di tutte le teorie. Questa prevede l’esistenza non più di dieci ma di undici dimensioni entro le quali sarebbero presenti oggetti più estesi delle stringhe come membrane e altre strutture a più dimensioni dette “brane” (un termine ricavato da mem-brane): le stringhe sarebbero quindi uni-brane e il punto uno zero-brana; le membrane sono delle bi-brane ma poi esisterebbero anche le tri-, le quadri- e così via fino alle nove-brane. Il nostro Universo potrebbe essere una tri-brana (detta anche brana-universo) immersa in uno spazio più grande.

Questa visione del mondo microscopico ha quindi anche implicazioni di carattere cosmologico, perché è in grado di formulare ipotesi sulla struttura dell’Universo all’inizio dei tempi. Secondo il modello cosmologico del Big Bang l’Universo ebbe origine a partire da uno stato di dimensioni nulle. La teoria delle stringhe fissa invece un limite inferiore alle distanze fisiche e stabilisce che nessuna grandezza possa diventare più piccola di un valore minimo. Non è difficile capirne il motivo: i punti privi di dimensioni spaziali, per quanto si ammucchino l’uno sull’altro, creano un volume complessivo che sarà sempre zero, mentre le stringhe, possedendo una dimensione spaziale, se si ammassassero tutte insieme formerebbero un grumo di volume non nullo. Questa osservazione elimina la singolarità e stabilisce che l’Universo all’inizio dei tempi non poteva essere di dimensioni nulle.

Se un giorno (molto lontano e nemmeno certo) l’Universo dovesse terminare di espandersi e cominciasse a collassare su sé stesso finirebbe, secondo quanto previsto dalla teoria tradizionale, in un inesorabile Big Crunch (un Big Bang alla rovescia) che si concluderebbe in un punto di dimensioni nulle. Ma la teoria delle stringhe impone che nessuna delle dimensioni spaziali possa contrarsi fino a ridursi a zero: ragione per cui arrivato vicino alla dimensione minima (cioè a quello che nella VIII puntata abbiamo visto essere il limite di Planck) invece che continuare a contrarsi l’Universo rimbalzerebbe ed inizierebbe ad espandersi nuovamente. A loro volta la temperatura e la densità anziché salire ulteriormente riprenderebbero a scendere. La nuova teoria non esclude il Big Bang, però esso non viene più visto come l’istante iniziale di ogni cosa ma piuttosto come un momento di transizione fra due fasi speculari con proprietà fisiche e geometriche opposte. Il Big Bang nel nuovo modello che scaturisce dalla teoria delle superstringhe verrebbe declassato al rango di “istante iniziale della fase attuale di Universo”.

Per concludere è bene chiarire che anche questa, come una qualsiasi questione scientifica, non è definitiva. Nuove osservazioni e nuove idee modificheranno ciò che oggi gli scienziati hanno proposto e nuove teorie sostituiranno quelle attuali.

http://www.cosediscienza.it/astro/20.%20MODELLI%20DI%20UNIVERSO.htm

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